lunedì 24 agosto 2009

Due parole....

Al mio ritorno dalle sudate ferie (non che me le sia sudate, ma faceva caldo a Reggio di Calabria, quindi ho sudato parecchio, e non solo in posizione orrizontale come qualcuno potrebbe pensare...) ritengo doveroso scrivere due parole sul locale ove, alla fine di luglio, abbiamo festeggiato il genetriaco dell'amico Max, "L'officina del gusto" in quel di Castenaso.

Premesso che del luogo erano state sperticate da più parti lodi ai massimi livelli, passiamo alla descrizione: l'ingresso è quanto mai accattivante. Dall'esterno sembra un tugurio infossato al di sotto del livello del mare, entri e ti ritrovi un ambiente luminoso, con scaffalature in morbido legno chiaro che esibiscono prodotti alimentari, enologici e alcolici vari di marche altisonanti, molto altisonanti... troppo altisonanti. Viene subito da pensare che l'offerta sia più altisonante che effettivamente valida, impressione immediatamente confermata all'atto dell'accomodamento a tavola.

Il titolare, sulle cui inclinazioni e sulla cui infatuazione per Max non staremo a dilungarci, ha evidentemente frequentato un pessimo corso di teatro d'impresa: descrive il modus operandi del locale (non così originale in fondo) e le portate come se stesse recitando un testo di Shakespeare, ma senza vera anima, come se avesse un gobbo davanti e stesse sbrodolando la recitina scolastica perchè è costretto a farlo. Questo per tutta la durata della serata, e ora passiamo alle portate.

Intendiamoci, tutto edibile, niente di immangiabile o di disgustoso, più qualche picco decisamente gustoso come il tonno fagioli e cipolla o la peperonara inglobati nella marea degli antipasti piuttosto che il semplice ma saporito coniglio servito fra i secondi. Ma tutto quanto abbastanza odinario, terribilmente normale, a volte con tocchi superflui come il culatello accompagnato al mellone (non sarebbe bastato un ottimo prosciutto crudo di Langhirano?), altre volte con rimandi oscuri (la celeberrima pastasciutta di Pisa, dove a mia memoria non esiste grandissima tradizione di maestri pastai - avesse detto Gragnano! - e che pende e non viene mai giù come l'omonima torre) e cadute terrificanti come l'anonima e sciapa Passerina scelta (grazie amici!) dal banco dei vini o la deprimente selezione di scadenti liquori e digestivi a fine pasto.

In definitiva un posto da rivedere: le intenzioni ci sono e sembrano oneste, ma la pappa da mangiare è ancora moltissima, e se invece di quella di Pisa ci mettono un pò di sana ruspantezza emiliana male non può fargli. Prima cosa: puntare più sulla sostanza che sull'apparenza, perchè le marche altisonanti e la presentazione leziosa e teatrale valgono un fico secco se poi mangi come a casa tua o anche un gradino più in basso. Seconda cosa: maggiore attenzione all'abbinamento vinicolo, perchè vagare nel locale-bottega alla ricerca dei vini giusti è anche divertente, ma alla lunga può snervare e risultare dispersivo, specie se manca totalmente una guida che anche solo ti indichi dove andare a frugare per trovare il tuo nettare prediletto.

Voto al locale: rimandato a ottobre in attesa di opportune correzioni.

Voto al festeggiato: 10 come sempre per la figaggine, 0 per la collanina di ditalini che starebbero ottimamente con l'eccellente pasta e fagioli della nonna di Ambra.

Io rimango ancora un fan di Willy.

PS: a proposito, per il 7 settembre il Willy ha in programma in ristorante nella zona del Panaro cena di carne con il noto macellaio Cecchini. Io e Ambruzza saremmo anche interessati, a voi l'onere della scelta.

Gaber's back

Saludos